Culture

Il giovane, il vecchio e l’industria 4.0

L’analisi di un momento di grandi trasformazioni industriali e di confronto generazionale tra lavoratori, competenze e talento.

Oct 2017

Che tipo di formazione dovrà avere chi lavora nell’industria 4.0? Quali, tra le competenze “tradizionali”, continueranno a essere vincenti? Cosa farà la differenza?

Di questo, e molto altro, ce ne parla Annalisa Magone, Presidente e Amministratore delegato del centro studi e di consulenza “Torino Nord Ovest” e autrice del libro “Industria 4.0. Uomini e macchine nella fabbrica digitale” che ha tratteggiato il cambiamento organizzativo nelle società che stanno affrontando l'industria 4.0.

“Sarebbe bello ci fosse una risposta univoca ma, oltre le statistiche, ogni impresa fa caso a sé. Ha un profilo che dipende da una pluralità di fattori: il settore, il mercato, il prodotto, la dimensione, il progetto industriale, la cultura aziendale, il management, la qualità del personale. Se non si possono generalizzare le competenze distintive del lavoratore 4.0, si può descrivere certamente come cambierà il modo di lavorare. Secondo Sebastiano Bagnara, designer ed ergonomo, il lavoro del futuro sarà più eterogeneo, fluido ma omogeneo, vario e flessibile, incerto, sistemico. Già oggi, nelle fabbriche in trasformazione, i termini più frequenti per descrivere il nuovo lavoratore sono flessibilità, passione, immaginazione, partecipazione, responsabilità, motivazione, integrazione, attitudine a lavorare in squadra.” 

Esiste il rischio di un conflitto generazionale che l’industria 4.0 potrebbe scatenare, in termini di talento, preparazione e occupazione?

“Le tensioni fra generazioni per imporre una visione del mondo sono garanzia che la società evolva, si sviluppi, si adatti al cambiamento. Da questo punto di vista, il conflitto fra giovani generazioni, alfabetizzate al digitale, e vecchie generazioni, portatrici di esperienza fine e stratificata nel tempo, è uno dei numerosi falsi miti che popolano il discorso sulla quarta rivoluzione industriale. Provocatoriamente, un po’ di rivoluzione generazionale potrebbe giovare a una società poco abituata a riconoscere ai giovani competenza e autonomia di giudizio.

Detto questo, come tramandare la memoria del saper fare non è semplice né privo di implicazioni nell’industria 4.0. Gli strumenti digitali che supportano il lavoro consentono di alzarsi dallo strumento al processo, ma non operando sul problema in modo fisico si corre il rischio di non saper più riconoscere l’errore.

Come ci disse Nevio Di Giusto, a lungo al vertice del Centro Ricerche Fiat, le persone di esperienza spesso non sanno utilizzare gli strumenti con altrettanta efficienza dei giovani, perciò hanno un potenziale alto e una dinamica bassa; per contro, i giovani hanno una dinamica alta e un potenziale basso, dunque corrono il rischio di commettere grossi errori in un ambiente veloce ma privato di competenza e conoscenza dei rischi. La vera sfida è come mettere l’esperienza e la conoscenza dentro le macchine, affinché i prossimi utilizzatori possano fare più cose e più in fretta, senza commettere errori.

Quali aspetti deve valutare l’organizzazione, quando guarda al suo interno o all’esterno, per individuare i professionisti del futuro?

“La roadmap europea per le Factories of the Future messa a punto dall’EFFRA (European of the Future Research Association) individua sei domini di applicazione, che comprendono processi di produzione avanzati, adattivi e intelligenti; fabbriche virtuali; raccolta e gestione dei dati; imprese collaborative con supply chain dinamica; produzione orientata al cliente; ma anche una  produzione human-centered ovvero la valorizzazione del ruolo delle persone nelle fabbriche.  L’obiettivo principale è sviluppare nuove forme di interazione, in modo che le future fabbriche possano essere gestite in modo redditizio e, allo stesso tempo, fornire un ambiente stimolante per i dipendenti e sfruttare al massimo le loro competenze e conoscenze. L’aspetto più evidente della trasformazione in atto è la tendenza dell’impresa a chiedere al lavoratore un coinvolgimento quasi sentimentale. Ma il meccanismo funziona per tutti gli attori in campo soltanto se prevede una contropartita.”